E. Pagano (Hg.): Immigrati e forestieri in Italia nell’Età moderna

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Titel
Immigrati e forestieri in Italia nell’Età moderna.


Herausgeber
Pagano, Emanuele
Erschienen
Roma 2020: Viella
Anzahl Seiten
264 S.
von
Massimiliano Ferri

La complessa questione delle migrazioni, le sue implicazioni sociali economiche e culturali, la sua regolamentazione e l’integrazione dei migranti nella nostra società sono temi di strettissima attualità, che trovano sempre più spazio nelle agende governative e sono oggetto di vivaci dibattiti pubblici. A fronte dell’ampiezza del problema, è lecito chiedersi se siamo in presenza di un evento peculiare della contemporaneità. I numerosi studi condotti negli ultimi decenni hanno puntualmente dimostrato che non si tratta di un fenomeno nuovo. Da sempre gli uomini si muovono, si spostano e le loro mete sono interne o esterne al loro paese d’origine.

Anche per quanto concerne l’Italia, il tema non si esaurisce nei processi migratori innescatisi nella seconda metà dell’Ottocento e proseguiti nel Novecento. Anzi, è fin dalla prima Età moderna che la Penisola è stata interessata da una costante e ininterrotta mobilità, che ha indotto città e borghi a mettere in atto dei processi di inclusione o di esclusione dei forestieri.

È quanto emerge dalla lettura del volume curato da Emanuele Pagano, che raccoglie alcuni degli interventi presentati al seminario Migranti e forestieri in Italia in Età moderna (secoli XV-XIX). Quadri e dinamiche, organizzato presso l’Università Cattolica di Milano nel 2018. Il libro si articola in sette saggi organizzati in tre sezioni (una di contesto generale, le altre due con dei case-study relativi a Roma e a Milano), precedute da una breve introduzione.

La prima sezione, Quadri e dinamiche generali, comprende un contributo di Francesco Parnisari, che presenta a largo spettro regioni e tematiche con una sintesi bibliografica che intende offrire un’idea sulla presenza degli stranieri e sulla loro eterogenea tipologia. Ne risulta una realtà dinamica (a conferma del fatto che la società preindustriale non è per nulla caratterizzata dalla sedentarietà), in cui i flussi internazionali si intersecano lungo la Penisola con quelli interni, entrambi accumunati dal richiamo delle opportunità offerte da grandi e piccoli centri cittadini, in cui il migrante aspira a inserirsi stabilmente.

Danilo Zardin spiega invece come i forestieri, per ovviare al pericolo di restare isolati nelle nuove mete, creino una fitta rete di legami per sostenersi vicendevolmente. Si aggregano in strutture – nationes e confraternite – riconosciute dal potere locale, dotate di organismi direttivi di controllo, che si riuniscono attorno a cappelle o chiese dove si coltiva il culto dei santi del luogo d’origine e offrono a chi ne fa parte la possibilità di inserirsi in «una rete rudimentale di welfare autogestito» dalla fisionomia fortemente identitaria, come attestato da recenti studi. Si pensi ad esempio al volume curato da Brigitte Studer et al., Die Schweiz anderswo […] – La Suisse ailleurs […] (Zurigo 2015) o, sempre per restare nel contesto della Confederazione, a quello di André Holenstein, Patrick Kury e Kristina Schulz, Schweizer Migrationsgeschichte. Von den Anf ängen bis zur Gegenwart (Baden 2018). È anche il caso di Venezia, dove sin dal XIV secolo si organizzano le “nazioni” dei lucchesi (la più antica, risalente al 1359), dei lombardi, dei fiorentini, dei tedeschi e infine dei dalmati. Lo studio delle confraternite permette dunque di realizzare una prima importante mappatura della mobilità nell’Italia moderna sulla base delle nationes. Chiude questa prima parte il saggio di Luigi Lorenzetti, che si sofferma sul fatto che le strategie economiche messe in atto dai migranti vertono sulle rimesse e sugli investimenti immobiliari nei centri urbani dove si insediano. Quest’ultimo aspetto presenta la duplice finalità di agevolare un eventuale processo di integrazione, ma anche di assicurare una continuità generazionale alla catena migratoria, considerato il carattere monopolistico di certe professioni e la leadership nel controllo delle piazze esercitate dagli “svizzeri italiani”.

Nella seconda sezione, Roma e lo Stato pontificio, viene introdotto il primo case-study. Nella prima età moderna Roma presenta delle peculiarità (legate alle attività diplomatiche, economiche, ai pellegrinaggi) che favoriscono l’arrivo di forestieri per i quali si profila la possibilità di un veloce inserimento nel contesto commerciale e artigianale cittadino. Anna Esposito evidenzia come tra Quattro e Cinquecento la presenza di numerose nationes con le rispettive chiese, confraternite e ospizi contribuiscono a dare un carattere cosmopolita senza eguali all’Urbe. Un ruolo attrattivo che non viene meno neppure durante la Controriforma, come dimostra Alessandro Serra. La capitale del cattolicesimo, seppur centro della lotta all’eresia, mostra un sorprendente volto tollerante nei confronti dei numerosi forenses acattolici che vi operano, mentre gli altri immigrati continuano a costituirsi in “comunità nazionali” che si consolidano soprattutto attorno alle pratiche devozionali.

La terza e ultima sezione, Milano e il suo Stato dagli Asburgo a Napoleone, prende in considerazione l’esperienza milanese, che a differenza di altri grandi centri della penisola si mostra refrattaria alle aggregazioni su base nazionale, come conseguenza della politica fiscale visconteo-sforzesca finalizzata a limitare i flussi migratori di mercanti forestieri. Alessandro Corsi illustra come nella metropoli lombarda solo nel 1553 i genovesi ottengano la concessione di costituire una confraternita per difendere i propri interessi politici ed economici, seguiti dagli spagnoli e dai tedeschi. A questi sodalizi viene riconosciuto un ruolo determinante nel processo di coesione cittadina tra forenses e locali attraverso la partecipazione di questi ultimi alle attività della comunità.

L’ultimo saggio sulla realtà milanese, curato da Riccardo Benzoni, introduce una forte cesura nel concetto di controllo degli stranieri. Il quadro politico-istituzionale nel quale si è introdotti è quello dell’Italia del primo Ottocento, in cui si percepisce lo scarto rispetto all’età precedente per l’introduzione di nuove e rigide pratiche di controllo sulla mobilità nazionale ed estera. I documenti di identificazione e la sorveglianza sono gli strumenti messi in atto entro i confini nazionali dal regime napoleonico nei confronti dei forestieri, visti con sospetto per ragioni politiche e di sicurezza. È l’inizio della contemporaneità.

Il libro di certo aggiunge un ulteriore tassello allo studio sull’immigrazione in età moderna. Tuttavia, a partire dal titolo, che si presenta promettente perché lascia intendere uno sguardo generale sull’Italia moderna, “trascura” alcuni territori, quali il Piemonte, Genova e le sue terre, la Toscana e il Regno di Napoli, di particolare rilevanza, al di là della sintesi elaborata da Parnisari. Infine, sono state privilegiate talune tematiche a discapito di altre, che potevano essere introdotte, per restituire al lettore la complessità con cui si manifesta la presenza dei migranti, in termini comparativi. Ad esempio nel caso romano il ruolo delle maestranze artistiche resta nell’ombra, così come un’opportuna lettura trasversale degli spazi fisici che i forenses si ritagliano nel tessuto urbano, che meritava un’articolata riflessione.

Zitierweise:
Ferri, Massimiliano: Rezension zu: Immigrati e forestieri in Italia nell’Età moderna, a cura di Emanuele Pagano, Roma 2020. Zuerst erschienen in: Archivio Storico Ticinese, 2021, Vol. 170, pagine 97-98.

Redaktion
Zuerst veröffentlicht in

Archivio Storico Ticinese, 2021, Vol. 170, pagine 97-98.

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